L'unica nota stonata della fine settimana passata con i ragazzi dei Misantropus è stata l'arrivo a notte fonda a Sermoneta: il buio ci ha impedito di godere della vista dal basso del borgo, delle case grigie e dell'incombente castello Caetani, nonché delle colline terrazzate sui cui fianchi gli ulivi caparbiamente immobili tanto mi hanno ricordato certi scorci immortalati da Mati Klarwein.
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Mati Klarwein - Camouflage (1985-1987) |
Dopo l'ottima serata del release party a Roma, passiamo la notte nell'ostello San Nicola, un convento sconsacrato adibito a ricovero per anime più o meno pie. Della sua originaria funzione conserva l'assoluto silenzio e una chiesa sotto il livello stradale con tanto di imponente altare e affreschi ormai deteriorati. Colpiscono alcuni paramenti e icone sacri accatastati in un polveroso locale.
La mattina è dedicata alla scoperta del borgo, grazie ai fratelli Sanniti guide extraordinaire, estimatori del luogo tanto da aver organizzato una mostra pittorica di quattro giorni di Mario “The Black” Di Donato. Il luogo rispecchia in pieno lo stile unico dell'artista abruzzese, insieme mistico, mitico, arcaico, arcano, bucolico, che riaffiora subito alla mente quando – uscendo dalla splendida cattedrale di Santa Maria – ci troviamo di fronte a un affresco raffigurante i sette vizi capitali, base concettuale dello stupendo Peccatis Nostris (Black Widow Records, 2004).
Visitiamo il museo Diocesano (due impagabili affreschi all'ingresso) e continuiamo passeggiando tra l'incantevole e infinito dedalo di vie e viuzze: il grigio compatto delle pietre esterne delle case a lungo andare disorienta e rafforza l'impressione di vagare in un luogo senza tempo, sicuro merito degli abitanti rispettosi del posto e della sua storia.
In pieno rilassamento postprandiale ci sistemiamo su una panchina isolata e cominciamo un'intervista intesa fin dall'inizio come definitiva, atta a chiarire quanto più possibile i moltissimi punti oscuri della carriera del gruppo. Tra cani minacciosi e un villico gentile che ci offre mandarini appena raccolti nel suo orto, la chiacchierata si snoda quanto più possibile in ordine cronologico. Ha termine quasi due ore dopo: c'è il treno verso casa da prendere. Ma la promessa è quella di tornare a Sermoneta, e di arrivarci di giorno.
Grazie,
Pio
Quali sono stati i vostri primi approcci alla musica, come siete nati musicalmente e cosa ascoltavate nei primi anni di formazione musicale?
Vincenzo Sanniti: Per dare una data iniziale direi il 1987, che è l'anno in cui Alessio inizia a suonare la chitarra elettrica. Aveva 13-14 anni. Ha iniziato lui, anche se è più piccolo di me. Io arrivo l'anno dopo, nel 1988, con il basso elettrico. Abbiamo iniziato entrambi in maniera istintiva, da autodidatti, è stata una passione nata in modo spontaneo, senza nessuna influenza esterna, è venuta da noi.
Il primo vero approccio alla musica c'è stato ancora prima, quando da bambini (si parla del 1980-'81) nostra madre ci fece prendere lezioni di pianoforte. Però siamo stati noi autonomamente, io da adolescente e Alessio da bambino, a iniziare con gli strumenti elettrici. Questo è l'incipit.
Alla metà degli anni '80, quando ci colse la passione degli strumenti elettrici, siamo stati attratti entrambi per forza di cose dalla musica del periodo, ma non quella che uniformava i ragazzi dell'epoca, bensì quella da adolescenti un po' fuori dallo standard. In quel periodo in Italia come in tutto il mondo avevano successo l'hard rock e l'heavy metal, e noi abbiamo iniziato ascoltando i gruppi del periodo.
Immediatamente dopo aver iniziato i nostri approcci con le chitarre elettriche abbiamo formato i primi gruppi amatoriali. Sono vari, si tratta di esperienze talmente artigianali che rasentano quasi l'incoscienza, dilettanti allo sbaraglio per così dire, nel senso buono. Non c'è neanche ragione di citare questi progetti antecedenti a Misantropus, proprio perché sono talmente frammentari che ci perderemmo soltanto in un elenco sterile e perché non abbiamo mai inciso nessun vinile o niente di importante, nemmeno a livello underground. Abbiamo però inciso svariate cassette demo che all'epoca era il formato più popolare e con cui avemmo l'opportunità di far ascoltare quelli che erano i nostri primi esperimenti musicali.
Abbiamo avuto una decina di progetti amatoriali che in dieci anni, quindi dal 1988 al 1998, hanno portato al concretizzarsi di questa esperienza e di questo progetto originale, serio e valido che è Misantropus.
Alessio Sanniti: Fondamentali sono stati sicuramente i viaggi musical-iniziatici verso Pesaro del 1989 e del 1990 per conoscere Paul Chain, in occasione dei quali ebbi tra l'altro l'opportunità di suonare la sua famosa chitarra a forma di croce.
Andrea Vozza: Sin da piccolo mi ricordo di avere avuto una grande passione per la musica, trasmessa in parte anche da mia sorella che studiava pianoforte e lo suonava 24 ore al giorno! All'età di 13/14 anni convinsi mio padre a comprare una batteria, spinto da un'irrefrenabile passione per questo strumento. Iniziai a “suonare”, da solo senza alcun aiuto esterno e giorno dopo giorno mi accorgevo che era una cosa che mi sentivo dentro da sempre, una valvola di sfogo, un mezzo per potermi esprimere al meglio e divertirmi come un bambino, sempre. Ho cominciato suonando sui pezzi di vari gruppi, poi con alcuni amici formammo una cover band hard rock e da lì ho scoperto la mia passione per il rock'n'roll vero. Poi, dopo l'ascolto di Blues For The Red Sun dei Kyuss, nulla è stato come prima.
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Vincenzo Sanniti - basso |
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Alessio e Vincenzo, avete citato una decina di progetti, in che ambiti spaziavano?
A.S.: Abbiamo iniziato ascoltando heavy metal, però i primi progetti incisi su demo-tape erano di punk cantato in italiano. Ne facemmo uscire parecchie di quelle demo-tape. Poi dal punk io personalmente passai più all'hardcore italiano. Non cito i nomi perché sono progetti davvero minori, secondo me. Ho suonato sia il basso sia la batteria con un gruppo punk/hardcore italiano abbastanza noto, gli Scum Of Society.
V.S.: Ci terrei a fare un'unica citazione riguardante quel periodo, perché significativa per quello che è venuto dopo: nel 1991 incidemmo un'audiocassetta demo in cui proponemmo una lunga suite interamente strumentale composta da vari spezzoni che pescavano da questo miscuglio di influenze. Già nel '91 avemmo questa intuizione di focalizzare il tutto in una lunga suite strumentale che secondo me è l'origine (anche in maniera subconscia) di quello che avremmo sviluppato in modo più maturo molti anni dopo. Non ti cito il nome del gruppo perché è pur sempre una cosa amatoriale che ha avuto una piccola diffusione a livello locale, anche se mandammo qualche cassetta in giro per l'Italia. Però riconosco in quell'esperimento (che conservo tuttora, quindi una testimonianza c'è) la particolarità di proporre qualcosa di completamente strumentale nell'ambito metal/punk, se vogliamo tracciare le coordinate, cosa che all'epoca non aveva fatto quasi nessuno. Parlo con i limiti del caso, però quello è da considerarsi l'incipit di uno stile che siamo andati a sviluppare tempo dopo focalizzando meglio le influenze.
A.S.: Prima dei Misantropus ci fu un buon progetto a mio parere, che prendeva il nome di “Vincenzo Sanniti”, dall'impronta psichedelica che già si avvicinava a delle sonorità più o meno doom. Era un ottimo progetto, spedimmo varie cassette e ci fu anche un'opportunità di stampare un lavoro per un'etichetta italiana importante.
V.S.: Sì, era la M.P. Records di Tombolo, in provincia di Padova, un'etichetta importante perché ristampò alcuni lavori di un gruppo semi-sconosciuto ma rilevante del progressive italiano, i Pierrot Lunaire, e anche dei lavori del leader dei Pierrot Lunaire, Arturo Stalteri, tra l'altro conduttore di una nota trasmissione radiofonica su RadioTre tuttora in onda.
Avemmo l'opportunità di far uscire un lavoro per quest'etichetta, gestita da Vannuccio Zanella, una persona peraltro molto gentile, ma optammo per non sottoscrivere il contratto perché questo ci venne proposto nel momento in cui da “Vincenzo Sanniti” (quindi da questa psichedelia metà strumentale e metà cantata, influenzata dai dischi degli anni '70 di Franco Battiato - che incontrai di persona nel 1995 e a cui spedii la cassetta - e dalla sua spiritualità e dal gruppo tedesco dei Popol Vuh) stavamo passando a quella che è stata la definizione del nostro stile attuale, il Misantropus, che chiaramente era fuori dalla logica delle loro scelte, essendo l'etichetta rivolta al progressive, anche dark se vogliamo e i Pierrot Lunaire sono indicativi in questo senso. Se vuoi abbiamo anche perso una buona occasione, perché col senno di poi avremmo potuto far stampare il progetto “Vincenzo Sanniti” (che è sì a mio nome ma le musiche erano per la maggior parte composte da Alessio, io ebbi la presunzione di chiamarlo a mio nome per tutta una serie di motivi che non sto a spiegare). Nei nostri archivi c'è questo disco inedito di dieci/dodici pezzi penso, che avremmo potuto pubblicare e diffondere, ma optammo per il no perché stavamo evolvendo verso Misantropus, quindi non mi pareva il caso far uscire una cosa che poi non avremmo più proposto dal vivo.
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Alessio Sanniti - chitarra |
Parlate di molti progetti frastagliati. Ritenete siano state più le occasioni perse o che la storia dovesse andare così, cioè evolvere attraverso tutte quelle esperienze per poi sfociare nei Misantropus?
V.S.: Sicuramente la seconda, perché quando si è molto giovani spesso si fanno le cose con incoscienza. Hai una forte dose di entusiasmo che per mancanza di esperienza (è banale ma è la verità) non riesci a canalizzare in maniera ben definita. Non parlerei di occasioni perse - a parte l'esempio del progetto “Vincenzo Sanniti” che è il più concreto capitato in quei dieci anni – perché si può anche concedere a un ragazzo molto giovane (avevo 17 anni) di commettere una serie di errori che fanno parte del percorso, a meno che uno non nasca particolarmente dotato e a 15 anni sappia già bene quello che deve fare.
A livello di curiosità: la scelta di suonare Alessio la chitarra e Vincenzo il basso è stata voluta, è stato un processo naturale o è stata la scelta dell'uno a influenzare di conseguenza quella dell'altro?
A.S.: No, è stata proprio una passione per lo strumento, anche a livello ottico.
Prime passioni musicali.
V.S.: L'hard 'n' heavy del periodo, tra cui anche i gruppi più spettacolari e fastosi, del cui fascino un ragazzino può rimanere vittima. Andrebbe ridiscusso tutto il fattore estetico e tutto quello che c'è dietro a livello concettuale, perché comunque quelle erano band create per intrattenere, non c'è nient'altro se non la musica. Però proprio questo mi porta a un'intuizione: perché Misantropus? Perché in realtà era la musica che ci aveva colpito, quello che può essere il testo o l'estetica alla fine col tempo passa, è la musica che vale, ecco perché la musica è più in alto.
Tralasciando questi progetti giovanili, ci sono vostri coinvolgimenti in altri gruppi avviati e longevi, penso per esempio ad Alessio con i Doomraiser?
A.S.: Per quanto riguarda il mio coinvolgimento negli Scum Of Society, il gruppo punk/hardcore di cui dicevo prima, c'era molta attitudine e voglia di essere contro una logica, trattavamo delle tematiche sociali. Venne formato da me al basso e dal batterista, che è un mio amico, nel 1994-'95. Eravamo un trio e proponevamo un crust cantato in italiano. Io poi andai via perché già non mi ci ritrovavo più. Rientrai dopo qualche anno suonando la batteria. Così abbiamo girato tutta l'Italia e fatto un paio di tournée in Svizzera, dopodiché ero esausto, a causa della musica, di un certo tipo di situazioni estreme e anche perché andavi sempre a perdere a livello economico.
Doomraiser: conoscemmo Andrea Caminiti tramite lettera, appena uscì il primo LP di Misantropus ci scrisse, si parla del 2000. Poi ci incontrammo ai vari concerti, frequentavamo spesso Roma e i concerti underground metal del periodo, e mi chiese se volevo far parte dei Doomraiser o comunque dargli una mano per creare questo nuovo progetto. Facemmo qualche prova ma, un po' per la lontananza e un po' per Misantropus che iniziava a coinvolgermi moltissimo, decisi di non continuare più questa collaborazione. Facemmo delle prove che saranno anche state registrate, ma giusto tre prove, non di più.
A.V.: Fino a due anni fa suonavo con quattro gruppi differenti e, nonostante il tempo materiale che non c'era, bene o male riuscivo a conciliare tutti gli impegni delle varie band. Attualmente, invece, oltre ai Misantropus suono con i godWatt Redemption, facciamo heavy rock e siamo attivi dal 2006.
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Andrea Vozza - batteria |
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Dopo questo preambolo, passiamo a Misantropus. Vi formate nel 1998. Per quali necessità espressive?
V.S.: La cosa che tengo a sottolineare è che questo progetto è nato con Alessio a tavolino, ricordo che decidemmo di formare un gruppo strumentale, che proponesse delle sonorità tipicamente e puramente dark/doom metal. Con dark intendo il dark sound che va dalle origini agli anni '90. È stata una cosa creata con molta lucidità, che può essere anche un po' brutale come discorso, poiché di solito queste cose dovrebbero nascere in maniera istintiva, ma forse proprio perché avemmo quella serie di esperienze precedenti abbiamo a un certo punto focalizzato in maniera molto netta quello che volevamo fare, come se dopo una serie di esperimenti ti si accendesse una lampadina e dicessi “Ho trovato”. Questa è stata l'intuizione di Misantropus, unire il dark/doom metal con la particolarità di essere strumentale. Con Misantropus volevamo esprimere il concetto di non avere niente da dire, non per mancanza di argomenti, ma concretizzare con un titolo tutta un'idea. Nel titolo hai la chiave di lettura. Il titolo è il testo. Perché fare un testo classico quando puoi andare al nocciolo della questione con una parola?
Un altro motivo che ci spinse a suonare dark/doom metal era legato alla lentezza del ritmo musicale, un po' per sfuggire ai frenetici ritmi della vita moderna.
Cosa volevate esprimere con la scelta di questo nome e con la prima immagine del gruppo?
V.S.: Volevamo esprimere un dato di fatto: chi ha una sensibilità spiccata e diversa subisce le conseguenze di non essere uniformato a una società e a un mondo odierni freddi, duri e difficili. Con questo nome esprimiamo il concetto non di odiare gli altri, piuttosto di difendersi dagli altri, di crearsi una corazza e di stare bene con se stessi, il ritorno in se stessi come rifugio dai mali della vita. Io intendo la misantropia così. In realtà il discorso è contraddittorio, il misantropo alla fine è un filantropo, Alessio e io amiamo l'umanità, nel contatto con altra gente c'è il senso della vita, la realizzazione di se stessi. Purtroppo però va anche detto che la convivenza con gli altri è molto difficile perché c'è tutta una serie di compromessi e di sovrastrutture che una persona subisce se non riesce a canalizzare le influenze negative. Il nome suggerisce una soluzione a un dato di fatto. Spero di essere stato chiaro.
Mentre la scelta dell'immaginario gotico è una concretizzazione di ascolti musicali, da questo punto di vista siamo stati “vittime”, lo dico con tanta semplicità. Le maggiori influenze per i Misantropus erano e sono tuttora Paul Chain, i primissimi lavori di Mario “The Black” Di Donato anche con i Requiem e le primissime cose degli Arpia, che comunque avevano ereditato tutta la tradizione degli anni '70, del dark sound, ma presentavano dei prodotti che avevano quel tipo di confezione estetica, quindi l'ambientazione cimiteriale, le croci. Ognuno dà a queste cose dei significati diversi, non sto dicendo che c'è un significato valido per tutti, ognuno lo interpreta a modo suo. La croce è un simbolo talmente archetipale che potremmo stare a parlarne fino a stanotte. Quindi abbiamo subìto quel tipo di influenze musicali ma anche le influenze estetiche del genere. È un non essere ancora originali al 100%.
La primissima formazione chi comprendeva?
A.S.: Io alla chitarra, Vincenzo al basso e Andrea De Cesaris alla batteria. Incidemmo una demo-tape nel 1998. Uscì in 150 copie. Sulla cassetta proponemmo quattro brani, chiaramente strumentali. La registrammo a Latina.
V.S.: La copertina della cassetta è molto semplice, è la stessa che noi adottammo per l'LP, c'è sempre quel personaggio in primo piano, quel volto maschile.
Ci sono inediti di quelle sessioni di registrazione?
A.S.: No.
Massimiliano Bergo quando entra in formazione?
A.S.: Nel 1999, poiché Andrea De Cesaris subì un'operazione e dovette star fermo per forza di cose. Ci trovammo bene anche con Massimiliano perché è un bravissimo batterista, come lo è Andrea. Tant'è che il primo LP venne registrato sia da Massimiliano sia da Andrea, cinque pezzi a testa. Dopodiché Andrea non suonò più con noi.
Come conosceste Massimiliano e quali erano le sue esperienze precedenti?
A.S.: È come noi di Latina, in una città piccola quelle poche persone che suonano le conosci tutte. Massimiliano suonava prettamente punk. Ci piacevano la sua dinamica e il suo approccio allo strumento ed essendo anche un appassionato di heavy metal e di rock duro lo contattammo e la collaborazione con lui si protrasse per svariati anni.
1999: cosa succede in questo anno?
A.S.: Preparavamo altri pezzi per fare uscire l'LP pubblicato l'anno successivo. Poi ci fu un concerto importantissimo, storico, che organizzammo a Latina con il grande Paul Chain e il grande Mario “The Black” Di Donato.
Nel 2000 si arriva alla pubblicazione dell'LP.
A.S.: Sì, registrato sempre in uno studio di Latina, contiene dieci pezzi tutti strumentali.
V.S.: Vorrei fare una precisazione. Il vinile contiene, in versione ri-arrangiata, i quattro pezzi della demo-tape. Quindi sei pezzi inediti e quattro che venivano dalla demo.
A.S.: Uscì in circa mille copie e fu stampato a Roma da una storica fabbrica di vinili, la Satulli, ci stampavano un po' tutti all'epoca. Era una gestione artigianale, l'attività cessò quando morì il proprietario.
V.S.: Faceva questo mestiere da tantissimi anni ed era già anziano. Penso che siamo stati tra gli ultimi clienti di questo vecchio artigiano del vinile.
Vorrei chiarire definitivamente una questione, su cui c'è sempre stata poca chiarezza da parte nostra, abbiamo sempre diffuso numeri diversi riguardo alla tiratura di questo benedetto vinile. Alessio ha detto circa mille copie, e quel circa lo abbiamo sempre sottolineato. In realtà la faccenda è questa: la prima tiratura del disco era tra le 700 e le 750 copie, una cosa del genere, dai bollini SIAE che avevo doveva essere quello il numero.
Ma quando Satulli ci consegnò il lavoro purtroppo ci accorgemmo di un errore. Capita, credo che Satulli fosse tra l'altro già in pensione ma continuava a lavorare. Per motivi di distrazione, suppongo, stampò alcune copie in maniera imperfetta: il foro centrale del disco uscì leggermente decentrato e ciò comportò in fase di rotazione una sorta di effetto sonoro smagnetizzante che inficiava in maniera quasi determinante l'ascolto del disco stesso. Abbiamo quindi dovuto mandare tutto il lavoro stampato al macero e ristamparlo.
A.S.: Ma qualche copia di quella tiratura è circolata.
V.S.: Ci siamo accorti del problema dopo avere iniziato a distribuire questo disco a un concerto che tenemmo qualche giorno dopo. Una cinquantina di copie fallate circolano nella nostra zona, tra amici. La tiratura ufficiale, buona, è sempre sulle 700-750 copie.
Tengo a sottolineare che con quest'uscita siamo stati i primi al mondo a incidere un disco dark doom metal completamente strumentale.
Inoltre, un aneddoto è che l'LP piacque anche al maestro Giorgio Gaslini, di cui conserviamo due lettere con commenti incoraggianti.
Ci sono inediti da quelle sessioni?
A.S.: No.
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Misantropus - LP (2000) copertina |
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Misantropus - LP (2000) copertina, disco e inserto |
Illustrate nel dettaglio il concept che ha portato alla pubblicazione di questo disco. La sensazione che i titoli delle canzoni vogliano esprimere qualcosa e che siano stati tratti da determinate influenze è chiara.
V.S.: Senza dubbio. Nei titoli hanno trovato forma le influenze che avevamo subìto, che oltre al dark sound italiano sono anche estere. I Saint Vitus per esempio, che all'epoca sono stati determinanti per la formazione sonora del nostro gruppo. Poi i Manilla Road (che, per inciso, hanno perfezionato certe intuizioni dei primi Rush, quelli di Caress Of Steel, creando assieme ai primi Saint Vitus un epic/dark evoluto che ci ha influenzato molto). Alcuni titoli rispecchiano i titoli di album di questi artisti, come “The Deluge”, titolo di un disco dei Manilla Road che ritengo uno dei capolavori assoluti dell'heavy metal. È bella l'immagine che dà questo titolo, il diluvio, come dicevo prima già solo il titolo dà uno spettro di visione a 360°, puoi interpretarlo come ti pare. Personalmente mi dona il senso della vastità del mare che è la vita, tutto ciò che c'è sotto. La furia dell'acqua che porta via le impurità. Il giudizio di Dio. I Manilla Road crearono un concept che mi piaceva tanto sulla caduta di Atlantide, questa civiltà di Iniziati che per il deterioramento morale di loro stessi sprofonda nell'oceano. Che è quello che potrebbe succedere nella società attuale, l'uomo se non si evolve spiritualmente è ahimé destinato a pagare per i suoi errori, al diluvio, che potrebbe essere una grande catastrofe a livello planetario che è magari l'inquinamento.
Poi c'è “Doom”, il disco parte con quella canzone, che equivale a dire “Noi suoniamo questo”!
C'è “Walking Dead” che è il titolo di un EP dei Saint Vitus. Il morto vivente, l'uomo comune, con tutto il rispetto, che però vive la sua vita in modo inconsapevole, addormentato, vittima di se stesso e del sistema. È anche una denuncia sociale.
Sono tutti titoli che abbiamo reinterpretato e reso alla nostra maniera. Dietro non c'è soltanto lo sterile fatto che ci piacessero i titoli, ognuno di essi ci ha evocato delle immagini.
Convogli l'influenza, la filtri e gli dai un significato.
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I Misantropus nella foto sul retro dell'LP (2000). Da sinistra: Massimiliano Bergo (batteria), Alessio Sanniti (chitarra), Vincenzo Sanniti (basso). |
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Nel 2001 e 2002 non ci sono uscite.
A.S.: No, ma facciamo parecchi concerti.
V.S.: Soprattutto nella nostra zona e a Roma, che è la nostra seconda città, ci ha adottato da questo punto di vista, ci abbiamo suonato molto in quel periodo.
Il 2001 è stato un anno bellissimo per i Misantropus, abbiamo deciso di organizzare una serie di concerti nella nostra regione per Mario Di Donato, per omaggiare un artista misconosciuto ma importante nel nostro campo. Abbiamo organizzato tre concerti consecutivi in posti molto belli delle nostre zone.
A.S.: Precisamente portammo i The Black a Fiumicino, all'Alcatraz; a Nettuno, in un casolare che adesso non esiste più in cui facevano concerti underground; e l'ultimo concerto ad Aprilia, in un circolo culturale in cui facevano concerti dall'heavy metal al punk.
V.S.: Volevamo creare una sorta di collegamento tra un vecchio maestro, a suo modo un precursore, e la nostra generazione di ragazzi più giovani. Anche con un po' di orgoglio e di presunzione volevamo creare un trait d'union tra la vecchia scuola dell'heavy dark doom metal italiano e la scuola nuova che anche grazie a noi, lo dico senza falsa modestia, si è creata.
Nel 2002 abbiamo suonato un concerto significativo all'Alpheus di Roma assieme a Paul Chain (Paolo quella sera presentò un set acustico molto interessante, forse per addetti ai lavori, si sa che Paolo è una persona molto coraggiosa da questo punto di vista) e ancora con Mario “The Black” Di Donato, e infine con un gruppo che mi piace citare, molto interessante, si chiama Skywise. Sono stati anche loro dei precursori, però credo più dello stoner.
Nel 2003 si arriva alla pubblicazione dell'EP. Solito gioco: formazione, informazioni sulla stampa, concept...
A.S.: Conoscemmo Francesca Luce, che collaborò con noi nel 2003, al concerto di Fiumicino di The Black, nel 2001. Nacque subito un feeling tra di noi, si nota che è una donna carismatica, mi raccontò del suo passato, di quando incise con i Marbre Noir, gruppo storico della dark wave italiana. Pensammo quindi di collaborare e di fare delle prove con lei per quanto riguarda la voce nel nostro gruppo. Uscì questo EP con i due pezzi, una traccia per lato, con Francesca Luce alla voce. Cantò in fonetica, senza testo, improvvisando tutta la linea vocale del secondo pezzo dell'EP, che tra l'altro è stato registrato al buio dalla metà fino alla fine per nostra scelta. Incidemmo l'EP al Temple Of Noise, a Roma, registrato e mixato da Mirko Ravaglia, il tecnico di studio che è anche un ragazzo onestissimo.
V.S.: Siamo partiti come gruppo strumentale, ma che successe nel 2003? Avevamo intenzione di proporre un contraltare al primo lavoro in vinile, che rappresenta uno dei lati della creazione, la parte maschile della faccenda, mentre con l'EP del 2003 facemmo la scelta di proporre l'altra soluzione, la parte femminile. E quindi ecco l'esigenza di far uscire soltanto due pezzi cantati da Francesca Luce e di incentrare tutta l'idea di base sul principio femminile che secondo l'ottica di quel periodo interpretavamo come legato a un culto spirituale religioso pagano che è il wiccanesimo e i culti della stregoneria nel senso alto del termine. Ecco cosa rappresentano i due vinili. Infatti, anche a livello di immagine c'è una differenza: sulla copertina del primo vinile c'è un volto maschile, sulla copertina del secondo c'è un volto femminile. Questo chiude il primo periodo del gruppo, le essenze della creazione, il polo maschile e il polo femminile.
In realtà noi incidemmo un secondo LP nel 2003, oltre a questi due pezzi con Francesca Luce ne incidemmo altri tre, di cui due inediti e uno che è la ri-registrazione di un pezzo presente sul primo LP che si chiamava “Witch Cult” (pubblicato poi con il titolo di “Animalspact”). Tenemmo nel cassetto questi tre pezzi e facemmo uscire soltanto i due su cui aveva cantato Francesca in fonetica per focalizzare meglio quello che ho appena detto. In pratica presentammo la parte femminile di Misantropus.
A.S.: La copertina del primo LP è un disegno di Pablo Marcos, che è un fumettista peruviano. Mentre il disegno sull'EP è di Vincenzo.
V.S.: Nel 2003 andai a Vimercate, provincia di Milano, dove c'è la sede della Microwatt. All'epoca non avendo il computer fu uno dei pochi indirizzi che riuscimmo a recuperare dopo la morte del signor Satulli. Ci affidammo a loro e fecero un lavoro professionale. Uscirono 700 copie.
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Misantropus - EP (2003) copertina |
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Misantropus - EP (2003) copertina e disco |
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Avevate già in mente di cercare una collaborazione con una voce femminile o l'ingresso di Francesca è stato deciso dopo averla conosciuta?
A.S.: Tutto ha un perché. Non avevamo nessuna intenzione di fare delle collaborazioni né di usare voci maschili o femminili. Ma la simpatia, l'amicizia che si è creata, le sue doti canore (ha una voce stupenda, chi ascolta i brani se ne rende conto) hanno fatto sì che nascesse tutto così, spontaneamente. Non era stato pianificato a tavolino.
V.S.: Sì, in questo caso non era stato preventivato come al contrario successe con la nascita della band.
A.S.: Abbiamo atto anche dei concerti con lei alla voce, proponeva quelle due tracce. È stato un bellissimo imprevisto, anche perché oltre a essere una grande cantante è una grande persona, come se ne trovano poche. È un'amica.
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I Misantropus nella formazione dell'EP (2003) come appaiono sul retro della copertina. |
Perché decideste di non pubblicare tutte le canzoni registrate e perché avete deciso di pubblicarle solo ora a distanza di tanti anni?
V.S.: Siamo molto testardi da questo punto di vista. L'incontro con Francesca Luce è stato casuale. Abbiamo sempre voluto fare musica strumentale, facciamo questo e facciamolo bene. L'ho detto anche nelle interviste (poche) che ci fecero dieci anni fa. Avevamo trovato la soluzione, perché cambiare dopo dieci anni di esperimenti riusciti? Avevamo trovato il nostro stile, lo dico anche con orgoglio. Ma la vita è bella anche per gli imprevisti, quando sei totalmente convinto delle tue scelte è bello essere smentiti. In quel momento fummo affascinati dalla personalità straordinaria di Francesca, una persona con un'energia fuori dal comune. Pensammo che quelle registrazioni erano così belle da decidere di pubblicarle così com'erano.
Abbiamo deciso di pubblicare anche il resto delle registrazioni adesso che abbiamo trovato una persona valida, questo è il motivo reale, che ci ha trasmesso quell'entusiasmo che evidentemente fino a oggi non abbiamo riscontrato in altre situazioni a livello di etichette discografiche. Abbiamo trovato la persona giusta e mi sembrava giusto esordire con te con qualcosa di cui noi siamo orgogliosi e che aspettava solamente te per essere proposto. Sono cose anche un po' difficili da spiegare. È la cosa giusta al momento giusto.
A.S.: Non abbiamo detto una cosa: entrambi i vinili sono stati auto-prodotti.
A questo proposito, la scelta di non coinvolgere case discografiche è vostra?
A.S.: Sì. Volevamo veramente essere indipendenti. Noi stessi artigiani di quello che proponevamo. Sai, a volte non tutte le case discografiche, anche le più piccole, ti danno la massima libertà su come fare un prodotto. Tu ce l'hai data, ma non tutti fanno questo tipo di discorso. Quindi decidemmo di non dare occasione ad alcuno di mettere le mani su quello che volevamo fare.
Negli anni successivi (2004, 2005 e 2006) cosa succede?
V.S.: Subito dopo l'uscita dell'EP abbiamo cominciato a sviluppare una crisi interiore, intesa in senso artistico, sebbene in realtà parta sempre da un fatto personale, psicologico, mentale e spirituale. Proporci solo in vinile è un pregio ma anche un limite soprattutto nei primi anni 2000, perché tanti ragazzi dell'epoca non avevano neanche più il giradischi, ai concerti capitava che la gente non comprasse i nostri dischi perché non aveva il supporto con cui suonarli, allora decidemmo (contraddicendoci, perché partimmo con l'idea di fare tutto solo su vinile, l'abbiamo dichiarato anche in qualche intervista) di scendere a questo compromesso, per permettere a tutti di usufruire della nostra musica. Con un nostro amico, Andrea Penso, valutammo di ristampare su CD il nostro primo LP, di modo che ai concerti fosse disponibile anche questo formato.
Gli anni 2004, 2005 e 2006, per quanto strano possa sembrare, sono stati dedicati alla concretizzazione dell'uscita in compact disc. È la verità, è stato un travaglio. È una cosa un po' folle, per una ristampa su CD ci metti tre anni. Eppure è così. Stavamo passando attraverso una crisi interiore, ci chiedevamo se stessimo facendo bene o se stessimo facendo degli errori, anche per tutta una serie di letture ed esperienze. Ci siamo distaccati dai cliché tipicamente dark doom metal, soprattutto dal punto di vista estetico ma anche da un punto di vista spirituale, per cercare una strada più personale. Per trovarla abbiamo impiegato quel lasso di tempo. Magari questa cosa ci ha un po' limitato, non dico danneggiato. Sono stati anni difficili, in cui abbiamo sempre continuato a suonare parecchio, sia ben chiaro, non abbiamo mai smesso. Avendo avuto dei problemi con Massimiliano siamo sì stati fermi come attività concertistica dal 2007 fino ai primi mesi del 2010, ma in realtà non abbiamo mai sciolto il progetto, abbiamo sempre continuato a comporre. Per trovare il suo sostituto ci abbiamo messo vari anni.
Dalla fine del 2003 al 2006 abbiamo pianificato meglio quella che adesso è la nostra strada.
Tutto questo ha preso forma in un cambiamento estetico e ideologico di Misantropus.
V.S.: Sì, che poi è coinciso anche con la separazione da Massimiliano per questa serie di tensioni psicologiche e mentali che hanno creato degli attriti, dei ripensamenti.
A.S.: Le cose non andavano bene come all'inizio. Poi per motivi personali abbiamo deciso di dividere le nostre strade. A livello musicale, logicamente.
V.S.: Dal 2003 al 2007 (che poi è l'anno in cui sono uscite le ristampe di cui ti dicevo) abbiamo continuato a suonare nella nostra zona, di concerti fuori ne abbiamo fatti pochi, molto pochi.
Riuscite a tracciare delle differenze tra il prima e il dopo questa vostra maturazione?
V.S.: Mi ricollego a quello che ti dicevo prima. Ci sono stati degli eventi, interiori più che altro, che ci hanno portato a questo tipo di scelta. Abbiamo fatto un'esperienza fondamentale in questo campo, che è stato l'incontro con le opere del maestro pedagogo e filosofo - naturalizzato francese ma di origine macedone - Omraam Mikhaël Aïvanhov, filosofo spiritualista dei nostri tempi.
A.S.: Nato nel 1900 e morto nel 1986. Era già innata in noi questa ricerca spirituale dell'evoluzione personale. Siamo cambiati, c'è stato tutto un percorso interiore, consiglio a tutti di trovare un suo scritto qualsiasi, così come di tantissimi altri maestri, potrei citarti Peter Deunov (anche un abile violinista), Ermete Trismegisto, Paramahansa Yogananda, Jiddu Krishnamurti, insomma i grandi maestri spirituali. Ecco perché il distacco dalla classica iconografia dark, cimiteriale.
V.S.: C'è tanta spiritualità anche in quella iconografia, il dark doom forse è il genere rock più spirituale che c'è, va riconosciuto al genere un merito enorme, cioè il fatto di riavvicinare gli ascoltatori del rock a una interiorizzazione della faccenda, a tematiche più intimiste. I Doomraiser per esempio, li cito per simpatia, trattano poco di “sesso droga e rock'n'roll”, preferiscono temi crepuscolari, la morte viene vista come un momento di riflessione, che ci porta a essere più coscienti di noi, più sensibili. Va dato questo merito al dark doom, credo sia il primo genere nel rock a riportare gli ascoltatori verso tematiche più spirituali e filosofiche. Tanta paccottiglia a livello concettuale che viene dall'America come i gruppi glam (non che chi ascolti quel genere sia un idiota) che propongono tematiche banali, secondo me nel nostro momento non hanno più senso perché viviamo dei tempi difficili. Oggi abbiamo altre urgenze, la musica va vista come intrattenimento, spensieratezza e relax, ma dev'essere supportata da qualcosa di più alto, l'uomo ha bisogno di riappropriarsi delle riflessioni su se stesso, altrimenti viviamo come addormentati. La situazione è sotto gli occhi di tutti, viviamo tempi drammatici, c'è bisogno di un risveglio di coscienze a livello planetario, altrimenti siamo in un vicolo cieco. Bisogna riappropriarsi della propria interiorità.
A.S.: Un altro progetto che io ritengo importante portato avanti tra 2006 e 2007 si chiama Invisible Wood. Uscì in CDr per la Cold Current, piccola etichetta romana. Eravamo io alla chitarra, Vincenzo al basso, Francesca Luce alla voce e Laura Fabriani alle percussioni, suonavamo una sorta di folk esoterico.
Porterete avanti il messaggio attuale anche nelle prossime uscite?
A.S.: Credo di sì, anche se andando avanti si migliora sempre, almeno si spera. Credo di sì, in un modo ancora più evoluto.
Nel 2007 si parte con le ristampe in CD. Come arrivate alla ristampa di demo e LP su Cold Current? E perché la scelta di uscire su un CDr abbastanza povero come layout?
V.S.: Andrea Penso lo conobbi nel 2001. Era un nostro ascoltatore, gli piaceva tanto quello che facevamo e aveva anche la passione e il talento per creare un'etichetta a livello casalingo, artigianale, lo-fi. Faceva uscire delle edizioni molto limitate e spartane di artisti non famosi che lui aveva conosciuto. Creò l'etichetta per far uscire questa ristampa. Gli parlai del nostro cambio di immagine e tematiche e gli dissi che ci sarebbe piaciuto stampare qualcosa su CD, e da lì partì la nostra collaborazione, in modo molto naturale. Uscimmo con questo CDr in 200 copie - esaurito in pochissimo tempo - sicuramente povero a livello di realizzazione per motivi pratici. Andrea all'epoca era giovanissimo, aveva meno di vent'anni, disponeva di un budget veramente limitato e i costi SIAE per realizzare un CD vero e proprio erano proibitivi, quindi abbiamo fatto uscire questo prodotto. È la concretizzazione di un periodo difficile e rispecchia tutta questa serie di difficoltà, anche nel numero di copie, perciò è un po' al di sotto delle aspettative.
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Copertina della ristampa su CDr di Misantropus - LP (2000)-Demo (1998) a opera della Cold Current Production (2007). |
Mentre la ristampa auto-prodotta su CD del demo e dell'LP?
A.S.: Quella uscì qualche mese dopo la ristampa che fece Andrea. Decidemmo di farla in maniera poco più professionale, col classico bollino SIAE, con CD audio vero e proprio. Cambia sempre l'estetica, i colori sono diversi, il logo del gruppo è diverso, le foto interne sono diverse, cambia anche qualche titolo di canzone, ma è sempre la ristampa del primo LP più la demo-tape. La tiratura è stata di 500 copie.
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Copertina della ristampa su CD autoprodotta dal gruppo e pubblicata nel 2007 di Misantropus - LP (2000)-Demo (1998). |
Passiamo alla ristampa dell'EP. Sarebbe arrivata prima o poi la ristampa auto-prodotta?
V.S.: Sì, era nei nostri progetti non lasciare nel cassetto quegli inediti. Fortunatamente abbiamo trovato la persona giusta al momento giusto con cui concretizzare la cosa in maniera professionale, perché comunque l'auto-produzione è il modo più diretto per focalizzare i propri sforzi, ma collaborare ti dà una prospettiva migliore.
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Copertina della ristampa pubblicata nel 2011 su Doomymood Records di Misantropus - LP-EP (2003). |
Il vostro cambio di immagine si riflette anche sulla confezione delle vostre uscite, dalle copertine al cambio di titoli delle canzoni. Cosa volete esprimere con queste novità?
V.S.: È la materializzazione di tutto il percorso che abbiamo fatto. Per i titoli vale quello che ti ho detto all'inizio dell'intervista: il titolo è come se fosse un testo, non abbiamo niente da comunicare salvo il nostro amore per la Natura. Vogliamo fare in modo che tutti quelli che ci ascoltano recepiscano questa nostra energia e che qualcosa piano piano cambi.
La sequenza dei titoli credo abbia un significato chiaro nelle due ristampe.
V.S.: Nella ristampa auto-prodotta i titoli della demo-tape, per esempio, sono i quattro elementi (“Water”, “Airlife”, “Earth-Planet” e “Fire”). Sì, c'è una logica nella sequenza, è una rappresentazione della natura in tutte le sue sfaccettature. Per quanto riguarda l'LP, si inizia con “Sun” che è l'occhio di Dio, l'origine di tutto, senza Sole non staremmo qui a parlare.
Nella ristampa con la Doomymood la sequenza è ancora più netta e più facilmente comprensibile, è un concetto incentrato più sull'uomo, “Woman”, “Man”, “Animalspact”, le varie forme di vita. Poi “Life”, la vita in generale, dalle pietre a noi, e chiudiamo con “Transformation”, come viene comunemente definita la morte, che in realtà è un passaggio da una forma materiale e spirituale a un'altra che ogni filosofia interpreta a proprio modo.
Questa maturazione ha avuto un impatto anche su come vi ponete verso il pubblico quando suonate dal vivo?
A.S.: Forse sì, con il passare degli anni a livello scenografico siamo arrivati a una semplice impostazione rock del palco, ma è stato un cambiamento molto veloce. Inizialmente mettevamo sul palco degli incensi, delle candele, a volte anche dei candelabri e delle luci particolari.
V.S.: Sempre mutuati dai nostri precursori: queste cose le facevano negli anni '80 Paul Chain con il Violet Theatre, i Requiem, il primo Mario Di Donato.
Come scegliete la scaletta dei concerti e, a livello di curiosità spicciola, come vi intendete per sapere che pezzo suonare?
A.S.: Dato che con i titoli c'è stata un po' di confusione essendo stati cambiati (qualcuno anche più di una volta) e visto che lo stesso Andrea Vozza, il nostro batterista, suona da un paio di anni con noi, accenno brevemente il riff della canzone che stiamo per suonare. Non portiamo la classica scaletta che si mette sul palco. È anche lasciata all'improvvisazione a volte.
Con che frequenza provate?
A.S.: Prima provavamo spesso perché essendo tutti di Latina era più facile. Adesso Vincenzo è spesso a Roma, Andrea vive in provincia di Frosinone, io sto a Latina: quando va bene proviamo una volta a settimana.
Dal 2008 al 2011 ci sono eventi particolari?
A.S.: Dal 2008 non suoniamo più con Massimiliano, quindi siamo fermi sul versante dei concerti, ma Vincenzo e io continuiamo a suonare, componiamo tantissimi pezzi, alcuni li abbiamo scartati altri invece sicuramente usciranno in futuro.
Un evento importante che in ogni caso è sempre relativo alla musica è la mostra che organizzammo nel 2008 qui a Sermoneta nella bellissima chiesa di San Giuseppe: un'esposizione pittorica di quattro giorni di Mario “The Black” Di Donato. Questo fu un grande evento, organizzato benissimo, nei minimi dettagli, venne parecchia gente, fu molto pubblicizzato. Quattro giorni stupendi.
V.S.: Tornando ai Misantropus, per trovare il sostituto di Massimiliano abbiamo impiegato circa due anni e mezzo, fino al 2010 quando c'è stato l'incontro con Andrea Vozza. Prima di lui abbiamo provato una quindicina di ragazzi, ma sia per questioni stilistiche sia per questioni di empatia non siamo riusciti a sbloccare prima la situazione. Tant'è che - siccome la ricerca si stava rivelando infruttuosa - stavamo pensando addirittura di continuare come Misantropus solo con chitarra elettrica e basso elettrico, proponendoci senza la componente delle percussioni. Questo proprio per sottolineare che non era assolutamente nostra intenzione mollare un progetto così importante. Nel 2010 abbiamo avuto la fortuna di incontrare Andrea Vozza, che proviene da esperienze un po' più moderne come possono essere quelle dello stoner rock dei godWatt Redemption. Lui ci ha aiutato a reimpostare il gruppo come lo conosciamo. Sapeva che stavamo cercando un batterista e ci ha contattato.
A.S.: Con Andrea ci siamo sentiti telefonicamente, ci siamo incontrati a Latina e abbiamo iniziato a provare.
V.S.: È nato subito il feeling che ci serviva, sia da un punto di vista umano sia da quello musicale e stilistico. Tanto è stato lungo il periodo di ricerca di un nuovo batterista, quanto breve è stato trovare l'affiatamento.
Domanda per Andrea: come e quando hai conosciuto il gruppo Misantropus? Perché hai scelto di unirti a loro? Ti ritrovi nel loro concept?
A.V.: Un giorno, per caso, ho avuto modo di vederli live dalle mie parti (non ricordo l'anno di preciso) e rimasi molto colpito dallo stile, dai suoni (soprattutto la chitarra che non scorderò mai!) e dall'attitudine che avevano sul palco. Incuriosito, ascoltai i loro pezzi, fino a quando un giorno trovai online un loro annuncio dove dicevano che erano alla ricerca di un batterista. Io, nonostante avessi già altri progetti, li contattai, ci incontrammo e cominciammo a provare. Le cose andavano sempre meglio, sentivo che c'era un buon mood tra di noi (anche al di fuori della sala prove), e alla fine sono diventato il loro nuovo batterista. Mi piace il loro modo di affrontare la musica, di porsi a essa e soprattutto di avere mentalità aperte riguardo le composizioni e gli ascolti. Alessio è un grande appassionato di musica classica tra le altre cose, Vincenzo è un metallaro eighties e appassionato di buona vecchia musica italiana, secondo me anche questo mix di influenze fa dei Misantropus una band dalle varie sfaccettature, in cui ognuno mette del proprio sullo strumento. Siamo comunque tre personalità diverse ma che quando suonano diventano un tutt'uno.
Mi ritrovo molto nel loro concept, mi piace il discostarsi dai cliché del genere abbracciando tematiche diverse, il loro impegno vero per la Natura è una cosa molto intelligente a mio modo di vedere. Il loro essere genuini e dire quello che in realtà si pensa senza ipocrisia è un altro punto a loro favore. Odio le persone false o comunque costruite, mi ricordo ancora la prima volta che ci incontrammo a Latina, il loro modo di parlare mi mise subito a mio agio facendomi sentire come un terzo fratello Sanniti.
Sono orgoglioso di essere entrato a far parte di uno dei gruppi più importanti della scena underground italiana e non solo, ma soprattutto di aver conosciuto Alessio e Vincenzo, delle persone fantastiche con le quali mi sono trovato subito in sintonia.
Ci sono stati altri membri oltre a Francesca Luce e ai tre batteristi?
A.S.: Ci fu un altro batterista, Alessio Negri, ma facemmo solo qualche mese di prove.
V.S.: Questo nel 2001. Non abbiamo detto che con Massimiliano ci furono degli attriti subito dopo l'uscita del primo vinile del 2000 per motivi che sinceramente in questo momento neanche ricordo. Alessio Negri compare anche in una foto utilizzata per un'intervista rilasciata a Metal Shock. Dal dicembre 2000 all'aprile 2001 lui è stato ufficialmente il nostro batterista, anche se non suonammo mai dal vivo e non incidemmo niente con lui. È una persona in gamba, di Latina. Fu una cosa molto breve perché poi con Massimiliano si sono riallacciati i rapporti.
Guardando al futuro, la prossima uscita a che punto è?
A.S.: I pezzi sono tutti pronti, certo si devono limare e arrangiare ulteriormente. Abbiamo dieci brani pronti che vorremmo fare uscire entro la fine del 2012. Cinque brani per lato.
V.S.: Assolutamente sì. Sarà la definizione del nostro stile che abbiamo chiamato “green dark metal” e del percorso che abbiamo intrapreso dal 2007 a oggi. È la quadratura del cerchio di questi anni. Il concept sarà sempre incentrato sulla Natura e sul rapporto che l'uomo ha con essa, sul rispetto che l'uomo deve avere nei confronti del pianeta Terra e di tutto ciò che è assieme a noi.
A.S.: Sulla filantropia direi.
V.S.: Soprattutto sulla filantropia. Il disco si chiuderà con un pezzo intitolato “Filantropus”. La trasformazione del misantropo in benefattore dell'umanità. Si chiuderà un cerchio iniziato con la scelta di aprire il primo disco con il brano “Sun”: il Sole è il filantropo per eccellenza, dona senza nulla a pretendere.
So che la vostra intenzione era quella di terminare il progetto dopo tre album. Adesso siamo a due, il prossimo album sarà l'ultimo?
V.S.: Misantropus è un progetto nato a tavolino, quindi c'era anche questo aspetto plateale di sviluppare il tutto in tre dischi. Però la vita ci ha portato a tutta una serie di conclusioni diverse, è bello che sia così. Posso dirti che questo tipo di concept si chiuderà con il prossimo lavoro, ma ciò non vuol dire che non continueremo a produrre altra musica sempre come Misantropus. La carriera è quella, speriamo di fare altri pezzi validi e di continuare a pubblicarli. Finché c'è la possibilità e l'onestà di proporre musica valida, perché no?
Alessio nel frattempo sta portando avanti anche un progetto personale.
A.S.: Sì, prende il mio nome. Volevo fare uscire questi brani totalmente differenti dal classico suono di Misantropus. È folk acustico, il disco è auto-prodotto, uscito in 500 copie in vinile. È un concept che riguarda l'evoluzione dell'uomo, dai titoli si nota. È un omaggio alla natura. Il disco è dedicato al grande Paolo Catena, al filosofo Aïvanhov di cui abbiamo parlato, ad Angelo Branduardi (un altro grande della musica italiana), al pianeta Terra e ad altri grandi maestri della musica che non hanno bisogno di commenti: Ludwig van Beethoven e Pietro Domenico Paradisi.
Oltre alle influenze da voi più volte citate (Paul Chain/Paolo Catena, Mario Di Donato, Doris Norton), se doveste farmi un altro nome quale sarebbe? Anche al di fuori della musica.
A.S.: Un genio è Arvo Pärt, autore di musica sacra. È ai livelli dei grandi compositori di musica classica storica.
Ho dedicato l'EP di Misantropus del 2003 a Doris Norton, ma col senno di poi non so se lo farei di nuovo, nel senso che mi piacciono i suoi primissimi lavori di elettronica spicciola, molto semplice, in particolare Norton Computer For Peace, che è stato dedicato agli animali e alla Natura, una cosa inusuale per quella scena che la differenziava nel dark/prog italiano. Non c'era nulla di quel genere.
V.S.: Confermo quanto detto prima: Madre Natura, il Sole e il filosofo Aïvanhov. Nella musica vorrei sottolineare che il disco che preferisco in assoluto è (assieme a molte opere di Johann Sebastian Bach) Ash, l'EP che Paolo Catena editò nel 1988. È, secondo me, un capolavoro: un incrocio geniale di dark e speed metal con un pezzo di elettronica davvero all'avanguardia per quel periodo: “Abyss” sembra una reinterpretazione condensata della “Firebird Suite” di Igor Stravinskij, a cui Ash era dedicato. In quell'EP ci sono echi di musica contemporanea (a esempio Webern) che i recensori della stampa metal dell'epoca, per ignoranza, non colsero...
Durante la vostra carriera avete avuto riconoscimenti dall'estero? Gente che vi ha scritto, che vi ha proposto concerti, sapete con certezza se i dischi sono usciti dall'Italia?
V.S.: Qui c'è tutta la contraddizione del nostro caso. Essendo un progetto comunque artigianale (stiamo sempre parlando di dischi auto-prodotti e dei limiti che ne conseguono), abbiamo ricevuto alcune proposte, conserviamo nel nostro archivio lettere dalla Germania di 12-14 anni fa, in cui ci veniva proposto di fare delle date. Però non avendo il supporto di qualcuno che si occupasse in maniera professionale della faccenda le cose non si sono mai concretizzate.
Per quanto riguarda la diffusione, essendo delle edizioni comunque limitate che principalmente distribuiamo noi ai nostri concerti e non avendo un intermediario che facesse questo tipo di lavoro, sicuramente è stata molto minimale all'estero, ci conoscono grazie soprattutto a questi mezzi moderni che sono internet e il passaparola confluito sulla rete. Penso che molti ci conoscano soprattutto in “digitale”. Fondamentale è stata, in questo senso, l'apertura del nostro Myspace, grazie a Flavia Dodi. Per quanto riguarda il disco in sé, poche copie sono finite all'estero, poche decine.
Tenete particolarmente all'aspetto tecnico della vostra strumentazione.
V.S.: Lo strumento è un prolungamento di se stessi, in senso spirituale più che materiale, concretizza ciò che hai interiormente. È una specie di matrimonio. Grosso modo dal 1988 uso sempre lo stesso basso elettrico, un Ibanez Cimar del 1980. Forse gli sono capitato io tra le mani. Ha un suono veramente unico, che rende particolare il mio suono di basso. Credo che la stessa cosa possa dire Alessio con le sue chitarre. Inoltre, ho un altro basso, un Eko BX7, un basso storico della liuteria italiana fatto a Recanati all'inizio degli anni '80 e a cui sono particolarmente legato perché è un regalo di mio padre. Uso un amplificatore Gallien-Krueger da 300 watt.
A.V.: Essendo un gruppo strumentale, la strumentazione per noi è tutto. Quando possiamo, infatti, cerchiamo sempre di portare la nostra personale, ma nei festival e in occasioni in cui ci sono più gruppi è praticamente impossibile suonare con la tua batteria piuttosto che con il tuo amplificatore. Ma ci adattiamo a qualsiasi situazione, cercando di fare uscire fuori sempre la nostra indole anche da strumenti non nostri e a volte anche piuttosto scomodi (parlo da batterista).
Per quanto mi riguarda, la mia prima batteria fu una Roytek, micidiale, dal colore blu elettrico. Cominciai con questo muletto e lo tenni fino a quando mi si presentò l'occasione di entrare a far parte di un gruppo. La cambiai e comprai una Tama Rockstar, ottimo rapporto qualità/prezzo. Dopo qualche anno mi innamorai di batterie “oversize” con casse gigantesche e comprai una Ludwig, suonata per 2/3 anni.
Adesso, dopo varie peripezie e scelte sonore differenti, ho mollato la Ludwig e ho trovato quella che per me è la batteria definitiva, una Slingerland Magnum fine anni '70. Non potevo desiderare di meglio. Potentissima e per il mio stile è grandiosa. Come piatti, invece, uso Zildjian dal diametro molto grande perché adoro i suoni caldi e le code lunghe tipiche della Zildjian.
A.S.: Uso tre chitarre dal vivo. Una Gibson Les Paul Custom dell'86, una Gibson SG Special del 2004 e una Eko SG degli anni '80. Amplificatore Marshall: testate JCM 800 e JCM 2000 e cassa 4x12.
Grazie,
Pio
Per qualsiasi tipo di informazione è possibile contattare gruppo ed etichetta:
pio AT doomymood DOT net
Grazie per il supporto.
In doom, Pio.